Caro Mr Rip, grazie per aver accettato di fare questa intervista. Se mi permetti, farò una breve introduzione per i nostri lettori.
Hai lavorato in Google come Software Engineer per oltre sette anni, sei su LinkedIn dal 2007 e hai iniziato a bloggare, in inglese, nel 2016 su retireinprogress.com . Dal marzo 2021 sei anche attivo su YouTube e Twitch.
Oggi sei un imprenditore e content creator di successo, una figura di riferimento per chi cerca l’indipendenza finanziaria e la crescita personale. Il tuo canale YouTube conta oltre 150.000 iscritti, hai pubblicato oltre novecento video e ottenuto 23 milioni di visualizzazioni: numeri davvero impressionanti!
TFC: Ho dimenticato qualcosa o c’è un dettaglio importante che vorresti condividere con i nostri lettori?
RIP: Sono stato un early adopter di tante tecnologie. Penso di avere una mail su Gmail da quando era ancora in beta! Su molte cose mi considero un nerd informatico degli anni ‘90. Ho visto Internet nascere e, su LinkedIn, probabilmente sono stato tra i primi iscritti della storia. 😊
TFC: Il mio modello di riferimento per raggiungere l’indipendenza finanziaria, che ho sviluppato negli ultimi dieci anni e che sto cercando di divulgare attraverso il blog, si basa su tre elementi chiave: capitale umano, risparmio e investimenti. Cosa significa per te l’indipendenza finanziaria? È davvero raggiungibile o rimane una semplice utopia?
RIP: Trovo molto interessante il tuo modello di riferimento, mi piace. L’indipendenza finanziaria è assolutamente raggiungibile. È vero che esiste un “upper bound”, cioè una soglia oltre la quale non si potrà mai avere la certezza assoluta, perché, anche se sei ricco come Elon Musk, possono sempre verificarsi eventi imprevisti. Quindi, c’è una componente di incertezza intrinseca nell’essere umano. Tuttavia, arrivare a una soglia di sicurezza ragionevole è possibile.
Mi chiedo però se è davvero alla portata di tutti? In realtà, molte più persone di quante pensiamo possono raggiungerla. Ciò che rende il concetto di indipendenza finanziaria quasi una “parolaccia” oggi è il fatto che le persone non sanno più fare sacrifici e risparmiare. Viviamo in un mondo in cui ogni prodotto è disponibile in una scala infinita di lussi, e questo ha fatto perdere alla gente l’abitudine al risparmio.
La chiave per l’indipendenza finanziaria è spendere il meno possibile, ma in modo intenzionale.
Basta guardare ai nostri nonni, o persino ai nostri genitori: abbiamo perso quella capacità di dare priorità alle cose importanti nella vita. Se torniamo a concentrarci su ciò che conta davvero, l’indipendenza finanziaria è raggiungibile per molte più persone di quanto si pensi. Non è qualcosa riservato solo ai “tech nerd” della Silicon Valley.
TFC: Penso che, per noi comuni mortali, la partita più importante per raggiungere l’indipendenza finanziaria si giochi dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 18. Il primo passo è rafforzare il capitale umano, ovvero investire su noi stessi tramite istruzione, formazione, competenze e relazioni. Puoi raccontarci il tuo percorso formativo? Guardando indietro, quali sono stati gli investimenti più significativi che hai fatto su te stesso?
RIP: La mia crescita personale avrebbe potuto essere più veloce e ottimizzata, ma credo che la risorsa più importante che mi piacerebbe trasmettere sia la curiosità: è stata la curiosità a spingermi sempre in avanti.
Forse l’investimento più importante risale a quando avevo 13 anni: passare tutta una sera a smanettare sul Commodore 64 per scrivere un videogioco. Certo, ho fatto l’università e anche il dottorato di ricerca (ndr: non completato). Non so se quest’ultima sia stata una perdita di tempo oppure se mi abbia dato una forma mentis che mi ha permesso di fare il salto.
Ovviamente, entrare in Google ha sbloccato uno stipendio di un altro livello, ma ci sono arrivato con tutte le competenze necessarie per lavorare in una grande azienda. Secondo me, la passione e la curiosità durante le scuole superiori e l’università sono state fondamentali: ho fatto molti progetti per conto mio.
Probabilmente ci sarà stata anche una componente di fortuna, ma ritengo che l’investimento su te stesso e sul tuo capitale umano sia prioritario su tutto.
TFC: Nella vita ci sono poche decisioni cruciali che possono fare la differenza. La tua esperienza in Google è stata frutto di una coincidenza o di una strategia ben pianificata? Quanto ha pesato la scelta di espatriare nel tuo successo?
RIP: Mi sono laureato con un anno di ritardo, in sei anni. Anche se, ai miei tempi, a Roma, in Ingegneria Informatica, la media era di sette-otto anni. Dopo la laurea ho fatto il dottorato di ricerca, sono stato un po’ lento e sono arrivato in Google a 35 anni. Secondo gli standard di Google ero già “vecchio”: avevo colleghi con quindici anni di esperienza.
A un certo punto della mia vita, dopo aver sperimentato un po’ di cose in Italia, volevo fare un’esperienza all’estero. Avevo rinunciato a un’offerta di lavoro in un’azienda di videogiochi nel Regno Unito, la Codemasters. È stata una scelta sofferta: non avevo voglia di trasferirmi fuori Londra per “due spicci” in più.
Forse a trentuno anni era l’ultimo treno per espatriare. Dopo altri due anni come freelance, in cui stavo bene, stavo valutando se ci fossero altre opportunità di lavoro all’estero. Poi un mio ex collega, che lavorava già in Google, mi ha consigliato di candidarmi lì e mi ha fatto un “referral” (ndr: segnalazione all’americana, che non vuol dire: “prendi mio cugino” 😊).
Ho superato i colloqui e, alla fine, è andata bene. Avevo già un piano per andare a lavorare nella Silicon Valley, ma non ho fatto in tempo, perché la prima opportunità è andata a buon fine. Non è stata una passeggiata: due interviste telefoniche e cinque colloqui on site.
TFC: Secondo te, perché i salari in Italia rimangono così bassi? Quali consigli daresti ai giovani professionisti italiani per migliorare la loro situazione? Anche perché, senza un reddito adeguato, è difficile risparmiare e poi investire.
RIP: È una questione di ambiente, nel senso che le aziende, in particolare le PMI, non percepiscono il valore aggiunto di pagare qualcuno. Per cosa? Perché dovrebbero pagare qualcuno più di quanto accetterebbe il prossimo per strada? Se prendo un software engineer, al massimo gli faccio fare data entry. In Italia manca l’ecosistema: le startup innovative e le grandi aziende semplicemente non ci sono.
Consiglio di espatriare per tanti motivi. Primo, perché ti apre gli orizzonti e ti fa cambiare punto di vista su tutto, permettendoti di riapprezzare ciò che ti piace dell’Italia. Ma, soprattutto, ti apre la strada a nuove iniziative in futuro: è un investimento su te stesso, oltre al fatto che all’estero generalmente ti danno più soldi.
TFC: Hai avuto momenti di difficoltà all’inizio? Spesso la domenica e giorni di festa sono i giorni più duri per gli expat, e ci si sente spesso fuori posto quando
RIP: Erano già cinque anni che vivevo a Milano, quindi non ho lasciato la mia famiglia di punto in bianco: c’è stato uno step intermedio. Quando sono espatriato avevo una fidanzata, che mi ha raggiunto dopo un anno e mezzo; oggi è mia moglie e insieme abbiamo avuto tre figli. Non mi sono mai sentito solo.
Ad ogni modo, Google è una realtà enorme: ho subito fatto amicizie dentro l’azienda. C’erano altri italiani e, ogni tanto, uscivamo a mangiare la pizza insieme — un po’ uno stereotipo, ma è così. Oggettivamente, il mio espatrio in Svizzera è stato il più facile del mondo. Ho preso un treno, mi hanno pagato la relocation, ho messo i board game negli scatoloni e non c’era nemmeno il fuso orario. Più facile di così!
TFC: Terminata a tua esperienza in Google, cosa ti ha portato a rimanere in Svizzera? Pensi un giorno di ritornare in Italia o di vivere in un’altra nazione? Ricordo il progetto dei borghi con Marcello Ascani: che fine ha fatto?
RIP: Il progetto dei borghi ce l’ho ancora in mente da un sacco di tempo. Se dovessi tornare in Italia, non vorrei incastrarmi in una realtà già esistente, ma crearmi il mio mondo. Io sono convinto che, in futuro, quando il lavoro sarà sempre più dematerializzato, non ci sarà tutto questo bisogno e desiderio di vivere in grandi città. Questo trend, anche se non si è ancora pienamente realizzato, potrebbe diventare la norma.
Mi sono detto: perché non anticipare i tempi? Perché non costruire una realtà dove le persone possano incontrare altra gente interessante, creare una comunità con spazi condivisi, magari organizzando serate per giocare a board game?
È un progetto che non è tramontato. La differenza sta tra farlo come progetto personale o come progetto imprenditoriale. Con Marcello stiamo cercando di trovare il giusto equilibrio tra queste due anime: come può diventare un business e, allo stesso tempo, uno stile di vita. Il progetto è ancora in progress. Ad ogni modo, non è detto che resteremo in Svizzera a lungo termine.
TFC: Tracci regolarmente le tue entrate e uscite, e i tuoi fogli di calcolo sono memorabili: penso che abbiano aiutato tante persone, compreso me. Cosa ti spinge a continuare a tracciare ogni dettaglio delle tue finanze anche oggi?
RIP: I miei fogli forse sono un po’ overkill, ma facendo divulgazione è necessario. Per prima cosa, mi è utile per verificare se una fattura è stata pagata o meno. Poi è un’abitudine consolidata. Infine, c’è il lato divulgativo: condividere il mio metodo aiuta le persone.
Se non fossi Mr. RIP, probabilmente avrei abbassato la granularità, tracciando solo le spese complessive e non ogni singolo dettaglio. Quando non so quanto sto spendendo, mi sembra di essere in ansia: è una questione di controllo, una necessità di avere il controllo su qualcosa. Potrebbe anche essere qualcosa da dover curare. 😊
TFC: Grazie per essere arrivati fino a qui, mi auguro di aver fornito, in questa prima parte dell’intervista, degli spunti interessanti su cui riflettere. La seconda parte dell’intervista a Mr. Rip sarà disponibile la prossima settimana ed è dedicata principalmente agli investimenti.
On avance!